Mostra La mafia uccide, il silenzio pure. GLI INVISIBILI ammazzati dalla mafia e dall’indifferenza - Roma
A cura di Manuela Vaccarone
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Roma
Gli invisibili sono persone sull’orlo dell’oblio. È la memoria civile e collettiva l’unico antidoto al rischio concreto del silenzio mentre la documentazione, di ogni tipo, è da sempre lo strumento privilegiato per sensibilizzare l’opinione pubblica.
Si muove da questa esigenza l’indagine di Lavinia Caminiti, fotografa, autrice e curatrice della mostra promossa da Roma Capitale in occasione del trentennale degli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
I cittadini romani e non solo avranno l’opportunità, così, di avvicinarsi all’enorme lavoro di indagine svolto dalla Caminiti che, in una sorta di itinerario della memoria, racconta i delitti di mafia avvenuti nella sua Sicilia e nel resto d’Italia attraverso le immagini odierne dei luoghi in cui si sono consumate quelle tragedie.
Gli scatti dimostrano, però, come la vita quotidiana abbia in parte occultato il valore di quei luoghi, con la gente che spesso percorre con indifferenza quegli angoli, quelle strade, quelle vie, senza accorgersi dei segni delle ferite ancora aperte. Un’indifferenza che diventa quasi cinismo davanti agli sfregi di luoghi privi di qualsiasi riferimento alla memoria: con targhe cancellate, lapidi divelte o, peggio ancora, nascoste da bancarelle, immondizia o decorazioni natalizie.
È per questo che Lavinia Caminiti tenta di risvegliare la coscienza del visitatore mettendo a confronto le immagini attuali di quei luoghi con le foto e gli articoli di stampa realizzati immediatamente dopo i tragici eventi.
Le tracce del sangue lungo quelle strade diventano per la Caminiti i segni di una virtuale mappa del terrore, da ricostruire con rigore e sensibilità partendo dall’assassinio del poliziotto italo-americano Joe Petrosino, avvenuto in piazza Marina a Palermo nel lontano 12 marzo del 1909, fino ad arrivare all’uccisione del diciassettenne Genny Cesarano, avvenuta il 6 settembre 2015 nel rione Sanità a Napoli.
Ecco poi le storie tristemente conosciute di Peppino Impastato, ucciso nel 1978 nella sua Cinisi per aver combattuto la mafia e il suo rappresentante locale Gaetano Badalamenti; di Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo “freddato” in un bar di via Francesco Paolo Di Blasi; o del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso in via Carini insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e al suo autista Domenico Russo.
E si parla proprio di quest’ultimo atto efferato in un ulteriore prezioso documento presente nel percorso di visita. All’indomani dell’attentato al Generale Dalla Chiesa, la nipote del magistrato Cesare Terranova, Geraldina Piazza indirizzò uno sfogo all’allora giudice istruttore Giovanni Falcone che le rispose con una lettera oggi visibile a tutti, un documento emozionante pieno di gratitudine e coraggio, senso del dovere e speranza.
Nonostante ritraggano luoghi dalla normalità quasi sconvolgente, gli scatti di Lavinia Caminiti riescono ugualmente a farci tornare con la mente alle barbare esecuzioni del passato.
Come quelle ai danni di Piersanti Mattarella, ucciso sotto gli occhi della sua famiglia in via Libertà il 6 gennaio 1980; di Pio La Torre, inseguito e ucciso insieme al suo autista per i vicoli stretti che conducono a piazza Generale Turba; o di Don Pino Puglisi, sacerdote della zona di Brancaccio la cui missione venne bruscamente interrotta il 15 settembre del 1993 mentre rincasava in piazza Anita Garibaldi.
E come non lasciarsi assalire dalla commozione davanti ai tanti luoghi in cui magistrati, poliziotti e servitori dello stato hanno perso la vita.
Il riconoscimento di quei luoghi è un esercizio necessario sul quale la nostra società deve allenarsi, non solo per sottrarli alla quotidianità che li rende invisibili ma per tenere sempre vivo il ricordo di eroi come Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i componenti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo; come Paolo Borsellino ucciso in via D’Amelio insieme agli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
O come i magistrati Rocco Chinnici e Pietro Scaglione, Cesare Terranova, Gaetano Costa e Rosario Livatino. Come il Capitano dei Carabinieri di Monreale Emanuele Basile e il suo successore Mario D’Aleo, il poliziotto della Squadra Mobile di Palermo Calogero Zucchetto, l’agente Antonino Agostino.
Ma il lungo cammino di Lavinia Caminiti non si ferma qui e ci porta ancora in viale Campania a Palermo, sul luogo esatto dell’uccisione di Mario Francese, giornalista che aveva “osato” intervistare la moglie di Riina e sorella di Bagarella, Antonietta; in via Claudio Domino, dal nome del piccolo Claudio Domino, figlio undicenne del gestore del servizio di pulizia dell’aula bunker di Palermo, ucciso, perché durante il maxi-processo fu testimone involontario di scambio di stupefacenti tra spacciatori; in via Alfieri dove fu assassinato Libero Grassi, l’imprenditore che decise di ribellarsi non pagando il pizzo ai mafiosi; nella borgata di Tommaso Natale, ritrovo della vita sociale di Palermo, dove fu ucciso Giuseppe D’Angelo, uomo qualunque e onesto lavoratore colpevole solo di assomigliare a un boss locale nemico del clan Lo Piccolo.
Per arrivare al Policlinico di Palermo, luogo in cui lavorava Paolo Giaccone, medico legale che venne ucciso per essersi rifiutato di “aggiustare” le conclusioni di una perizia dattiloscopica che incastrava uno dei killer di una strage di mafia avvenuta a Bagheria.
A conclusione della mostra, un’ultima sezione dal titolo Le Rose Spezzate, fortemente voluta dall’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) su proposta dalla Procura della Repubblica di Tivoli e del suo Procuratore Francesco Menditto e curata da Lavinia Caminiti.
Il titolo è tratto dal manifesto simbolo dell’ANM, che ritrae delle rose spezzate in due parti con accanto i nomi dei 28 magistrati assassinati dalla mafia, dal terrorismo e per causa di servizio.
Grazie alla gentile concessione dei familiari delle vittime, Lavinia Caminiti completa questa lista con una galleria fotografica dei magistrati ripresi durante le scene di vita quotidiana.
Si muove da questa esigenza l’indagine di Lavinia Caminiti, fotografa, autrice e curatrice della mostra promossa da Roma Capitale in occasione del trentennale degli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
I cittadini romani e non solo avranno l’opportunità, così, di avvicinarsi all’enorme lavoro di indagine svolto dalla Caminiti che, in una sorta di itinerario della memoria, racconta i delitti di mafia avvenuti nella sua Sicilia e nel resto d’Italia attraverso le immagini odierne dei luoghi in cui si sono consumate quelle tragedie.
Gli scatti dimostrano, però, come la vita quotidiana abbia in parte occultato il valore di quei luoghi, con la gente che spesso percorre con indifferenza quegli angoli, quelle strade, quelle vie, senza accorgersi dei segni delle ferite ancora aperte. Un’indifferenza che diventa quasi cinismo davanti agli sfregi di luoghi privi di qualsiasi riferimento alla memoria: con targhe cancellate, lapidi divelte o, peggio ancora, nascoste da bancarelle, immondizia o decorazioni natalizie.
È per questo che Lavinia Caminiti tenta di risvegliare la coscienza del visitatore mettendo a confronto le immagini attuali di quei luoghi con le foto e gli articoli di stampa realizzati immediatamente dopo i tragici eventi.
Le tracce del sangue lungo quelle strade diventano per la Caminiti i segni di una virtuale mappa del terrore, da ricostruire con rigore e sensibilità partendo dall’assassinio del poliziotto italo-americano Joe Petrosino, avvenuto in piazza Marina a Palermo nel lontano 12 marzo del 1909, fino ad arrivare all’uccisione del diciassettenne Genny Cesarano, avvenuta il 6 settembre 2015 nel rione Sanità a Napoli.
Ecco poi le storie tristemente conosciute di Peppino Impastato, ucciso nel 1978 nella sua Cinisi per aver combattuto la mafia e il suo rappresentante locale Gaetano Badalamenti; di Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo “freddato” in un bar di via Francesco Paolo Di Blasi; o del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso in via Carini insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e al suo autista Domenico Russo.
E si parla proprio di quest’ultimo atto efferato in un ulteriore prezioso documento presente nel percorso di visita. All’indomani dell’attentato al Generale Dalla Chiesa, la nipote del magistrato Cesare Terranova, Geraldina Piazza indirizzò uno sfogo all’allora giudice istruttore Giovanni Falcone che le rispose con una lettera oggi visibile a tutti, un documento emozionante pieno di gratitudine e coraggio, senso del dovere e speranza.
Nonostante ritraggano luoghi dalla normalità quasi sconvolgente, gli scatti di Lavinia Caminiti riescono ugualmente a farci tornare con la mente alle barbare esecuzioni del passato.
Come quelle ai danni di Piersanti Mattarella, ucciso sotto gli occhi della sua famiglia in via Libertà il 6 gennaio 1980; di Pio La Torre, inseguito e ucciso insieme al suo autista per i vicoli stretti che conducono a piazza Generale Turba; o di Don Pino Puglisi, sacerdote della zona di Brancaccio la cui missione venne bruscamente interrotta il 15 settembre del 1993 mentre rincasava in piazza Anita Garibaldi.
E come non lasciarsi assalire dalla commozione davanti ai tanti luoghi in cui magistrati, poliziotti e servitori dello stato hanno perso la vita.
Il riconoscimento di quei luoghi è un esercizio necessario sul quale la nostra società deve allenarsi, non solo per sottrarli alla quotidianità che li rende invisibili ma per tenere sempre vivo il ricordo di eroi come Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i componenti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo; come Paolo Borsellino ucciso in via D’Amelio insieme agli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
O come i magistrati Rocco Chinnici e Pietro Scaglione, Cesare Terranova, Gaetano Costa e Rosario Livatino. Come il Capitano dei Carabinieri di Monreale Emanuele Basile e il suo successore Mario D’Aleo, il poliziotto della Squadra Mobile di Palermo Calogero Zucchetto, l’agente Antonino Agostino.
Ma il lungo cammino di Lavinia Caminiti non si ferma qui e ci porta ancora in viale Campania a Palermo, sul luogo esatto dell’uccisione di Mario Francese, giornalista che aveva “osato” intervistare la moglie di Riina e sorella di Bagarella, Antonietta; in via Claudio Domino, dal nome del piccolo Claudio Domino, figlio undicenne del gestore del servizio di pulizia dell’aula bunker di Palermo, ucciso, perché durante il maxi-processo fu testimone involontario di scambio di stupefacenti tra spacciatori; in via Alfieri dove fu assassinato Libero Grassi, l’imprenditore che decise di ribellarsi non pagando il pizzo ai mafiosi; nella borgata di Tommaso Natale, ritrovo della vita sociale di Palermo, dove fu ucciso Giuseppe D’Angelo, uomo qualunque e onesto lavoratore colpevole solo di assomigliare a un boss locale nemico del clan Lo Piccolo.
Per arrivare al Policlinico di Palermo, luogo in cui lavorava Paolo Giaccone, medico legale che venne ucciso per essersi rifiutato di “aggiustare” le conclusioni di una perizia dattiloscopica che incastrava uno dei killer di una strage di mafia avvenuta a Bagheria.
A conclusione della mostra, un’ultima sezione dal titolo Le Rose Spezzate, fortemente voluta dall’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) su proposta dalla Procura della Repubblica di Tivoli e del suo Procuratore Francesco Menditto e curata da Lavinia Caminiti.
Il titolo è tratto dal manifesto simbolo dell’ANM, che ritrae delle rose spezzate in due parti con accanto i nomi dei 28 magistrati assassinati dalla mafia, dal terrorismo e per causa di servizio.
Grazie alla gentile concessione dei familiari delle vittime, Lavinia Caminiti completa questa lista con una galleria fotografica dei magistrati ripresi durante le scene di vita quotidiana.
Regione: Lazio
Luogo: Piazza del Campidoglio
Telefono: 06/69605609
Orari di apertura: 24 ore su 24
Costo: Ingresso libero
Dove acquistare: 0 - ingresso libero
Sito web: www.comune.roma.it/
Organizzatore: Zètema Progetto Cultura