Mostra La Fotografia di Guido Rossa. Anche in una piccola cosa - Genova

Manuela Vaccarone
A cura di Manuela Vaccarone
Pubblicato il 04/01/2022 Aggiornato il 04/01/2022
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Genova
L'esposizione presenta circa 70 fotografie, suddivise in due grandi capitoli, che oltre all’introduzione guidano in un percorso ragionato attraverso la produzione di Guido Rossa nelle vesti di fotografo.
Egli infatti ha riservato alcuni momenti della sua vita, diversa da quelli, molti di più, dedicati al lavoro in fabbrica e all’impegno politico per cui lo conosciamo, alla pratica fotografica, che gli permette di registrare pezzi di mondo, grandi e piccoli, ai quali di volta in volta si accosta e con i quali cerca un silenzioso contatto di tipo affettivo-esistenziale.

Il suo interesse per la fotografia si sviluppò a partire dall’esperienza himalayana del 1963, e si tradusse allora sia nella documentazione della spedizione del Cai, sia in una sorta di reportage sull’India e il Nepal: con un’attenzione particolare alle condizioni delle popolazioni povere, da cui Rossa rimase profondamente colpito.

Nella prima sezione della mostra questi materiali sono accompagnati da un resoconto puntuale attraverso i suoi taccuini e da frammenti di una descrizione del viaggio che Rossa registrò a voce su un magnetofono Geloso.

Le fotografie della seconda sezione, quasi mai databili con esattezza, ma in larga parte scattate tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta, sono ordinate seguendo quelli che furono i soggetti di predilezione del fotografo dilettante.
Fra questi, i dettagli della natura e gli oggetti del lavoro, la presenza confortante del mare a ridosso della montagna, i panorami e gli scorci della città di Genova e, in generale, lo spettacolo della luce nella sua terra d'adozione; come pure (ma da soggetto quasi marginale nel mirino fotografico dell’operaio Rossa) alcuni momenti di impegno politico e sindacale.

Attraverso la lettura che il percorso fotografico ci suggerisce, troviamo che per Rossa c'è quasi una vita parallela in cui la dimensione sociale e politica, per quanto coinvolgente, si rivela inadeguata a soddisfare la sua personalità inquieta, sensibile all'arte e alla poesia.

Se da una parte il Guido Rossa consegnato alla storia risponde a un’immagine coerente con il decennio in cui ha trovato la morte, quegli anni Settanta carichi di entusiasmi e di conflitti, di impegno e di violenze, per contro questa mostra tenta di dar conto di altri aspetti della sua personalità.

Rossa entra in fabbrica a quindici anni nel 1949 e, prima ancora di averne venti, sfida la gravità diventando una leggenda della montagna piemontese e praticando, da professionista, anche il paracadutismo.

A Genova, l'ambiente stesso dell’Italsider di Cornigliano, in cui Eugenio Carmi è responsabile della direzione artistica e della comunicazione, rappresenta per lui non solo un con­testo di lavoro, ma un’occasione per sperimentare la sua energia creativa: trova così nella fotografia un’occupazione mentale e manuale. La fotografia diventa presto uno spazio di libertà, un impegno silenzioso e intimo.

Nel 1963 è in Nepal per misurarsi con i settemila metri del Langtang Lirung himalayano: la catena di montagne più alte del mondo acquista ai suoi occhi una dimensione spirituale che costringe a riflettere, anche attraverso l’obiettivo fotografico. Rossa viene colpito dalla realtà sociale indiana e nepalese, che documenta in molti scatti: incantatori di serpenti e mendicanti, l’ingiustizia delle caste, i bambini tibetani con la loro tenace volontà di studiare.

Non ci sono an­cora il sindacalista e il politico, ma il clima nuovo che si respira in quegli anni stimola la voglia di fare e di fare qualcosa di buono. Del resto non c’è contrad­dizione tra i modelli di molti giovani di quella generazione in bilico tra papa Gio­vanni e John Kennedy e sospesa, a Genova, tra la ribellione alla Curia della “comunità di base” di Oregina e le storie aspre di Fabrizio de André.

A corredo della mostra viene presentato anche il film d’avanguardia girato alla Cornigliano e alla Fiat di Torino, “L’uomo, il fuoco, il ferro”, di Kurt Blum e Eugenio Carmi (Archivio ILVA).
Premiato alla Biennale del 1960, il film nasce ispirato dal libro Immagine di una fabbrica, con gli scatti dello stesso Blum, che raccontano con epico lirismo “quella singolare comunità di uomini e macchine”.

La mostra è curata da Gabriele D’Autilia e Sergio Luzzatto.


Regione: Liguria
Luogo: Palazzo Ducale, Sala Liguria, piazza Matteotti
Telefono: 010/8171600
Orari di apertura: 10-19; sabato e domenica 11-19
Costo: Ingresso libero
Dove acquistare: 0 - ingresso libero
Sito web: https://palazzoducale.genova.it
Organizzatore: Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura