Mostra Il grande Vuoto. Dal suono all’immagine - Torino
A cura di Manuela Vaccarone
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Per segnalare una mostra scrivere a eventi@cosedicasa.com
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Torino
Quello di vuoto, di vacuità, è un concetto centrale per la dottrina buddhista: il vuoto non è solo l’istante che precede la nascita di tutte le cose, ma è anche il vuoto finale, la liberazione di tutti gli esseri senzienti a un livello cosmico.
All’opposto di quanto accade nelle tradizioni culturali e filosofiche europee, dove il termine “vuoto” porta con sé una connotazione negativa che la avvicina a idee nichiliste e alla mancanza o privazione, per il buddhismo la vacuità ha una connotazione positiva legata in ultima istanza
al raggiungimento della consapevolezza, ovvero alla comprensione che la vita, con i suoi continui mutamenti, è impermanenza e interdipendenza, poiché tutto esiste solo in relazione all’altro.
L’esposizione è dedicata proprio a questi concetti: la mostra vuole offrire al pubblico un’esperienza multisensoriale particolarmente coinvolgente ed è anche un segno forte di speranza per un futuro che si rivela incerto e
sconfortante.
La mostra si apre con un grande spazio vuoto. Non si tratta però di un vuoto vero e proprio, ma di uno spazio che si satura gradualmente con la presenza delle note del giovane e pluripremiato compositore romano Vittorio Montalti, che per l’occasione ha composto il brano “Il Grande Vuoto”, in cui silenzi, ritmi, sonorità e l’eco dello spazio stesso diventano matrice e metafora della costruzione divina dello spazio rituale: un lavoro sospeso tra composizione e installazione sonora che abita i diversi spazi del Museo.
I visitatori sono invitati dalla musica a compiere un percorso esperienziale e meditativo, per giungere al fulcro della mostra, in Sala Colonne: qui è esposta una rarissima thangka tibetana del XV secolo, la più preziosa delle collezioni del MAO, che ritrae Maitreya, il Buddha del Futuro raffigurato
in splendide vesti e seduto sul trono dei leoni.
Con le mani atteggiate nella dharmacakramudra (il gesto della messa in moto della Ruota della Legge), che rivela la sua futura missione di promulgatore della Dottrina, il Buddha regge gli steli di piante e fiori, simboli germinali di una futura liberazione.
In quanto oggetto religioso e rituale, la thangka, con le sue innumerevoli simbologie, è un mezzo che permette a chi la osserva di navigare attraverso le difficili acque della meditazione e di visualizzare i vari
attributi della divinità raffigurata (in questo caso Maitreya, il Buddha del futuro) e di entrare in uno stato meditativo profondo, nel quale le immagini, i colori, i gesti, i suoni raffigurati nel dipinto si rivelano in
una cosmogonia rituale sublime.
L’antica thangka tibetana si inserisce qui come prima immagine, densa e profonda, che si rivela allo spettatore dopo un percorso sonoro e spaziale importante. L’osservazione di questa immagine sacra dopo un viaggio che “ripulisce” lo sguardo e l’orecchio attraverso le sonorità di Montalti sarà un’esperienza trascendente: immagine sospesa, in un white noise sonoro, un fruscio cosmico vibrante, che apre a una moltitudine di forme e colori e gesti.
Questa prima immagine dipinta porta con sé la forza della tradizione tibetana di riprodurre divinità e santi Buddhisti su tela (le thangka) e che, in epoca moderna, sta all'origine del ritratto fotografico dei tulku, a cui è dedicata la parte finale della mostra.
Nelle ultime due sale trovano infatti spazio centinaia di fotografie di tulku, parte di una collezione di immagini realizzate dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri, che ritraggono i Buddha viventi appartenenti alle scuole buddhiste e bonpo in tutte le aree del mondo dove si pratica il buddhismo
tibetano; i tulku sono figure salvifiche la cui "mente di saggezza" rinasce in nuovi corpi per condurre l’umanità verso la salvezza e il Grande Vuoto… verso la buddhità.
In questo senso non si tratta di semplici ritratti fotografici, ma di autentici oggetti di venerazione, che contengono la sacralità della presenza: si ritiene infatti che l’immagine abbia lo stesso potere del tulku stesso, o più precisamente che l’immagine e il tulku siano inscindibili.
Questa raccolta, iniziata oltre una decina di anni fa dall’artista Paola Pivi, ha raggiunto migliaia di immagini e costituisce quello che è oggi il più grande archivio di immagini di tulku al mondo (http://tulkus1880to2018.net/).
L'esposizione, curata da Davide Quadrio, nasce da un’idea di Claudia Ramasso ed è completata da un ricco programma musicale curato da Davide Quadrio, Chiara Lee & Freddie Murphy.
All’opposto di quanto accade nelle tradizioni culturali e filosofiche europee, dove il termine “vuoto” porta con sé una connotazione negativa che la avvicina a idee nichiliste e alla mancanza o privazione, per il buddhismo la vacuità ha una connotazione positiva legata in ultima istanza
al raggiungimento della consapevolezza, ovvero alla comprensione che la vita, con i suoi continui mutamenti, è impermanenza e interdipendenza, poiché tutto esiste solo in relazione all’altro.
L’esposizione è dedicata proprio a questi concetti: la mostra vuole offrire al pubblico un’esperienza multisensoriale particolarmente coinvolgente ed è anche un segno forte di speranza per un futuro che si rivela incerto e
sconfortante.
La mostra si apre con un grande spazio vuoto. Non si tratta però di un vuoto vero e proprio, ma di uno spazio che si satura gradualmente con la presenza delle note del giovane e pluripremiato compositore romano Vittorio Montalti, che per l’occasione ha composto il brano “Il Grande Vuoto”, in cui silenzi, ritmi, sonorità e l’eco dello spazio stesso diventano matrice e metafora della costruzione divina dello spazio rituale: un lavoro sospeso tra composizione e installazione sonora che abita i diversi spazi del Museo.
I visitatori sono invitati dalla musica a compiere un percorso esperienziale e meditativo, per giungere al fulcro della mostra, in Sala Colonne: qui è esposta una rarissima thangka tibetana del XV secolo, la più preziosa delle collezioni del MAO, che ritrae Maitreya, il Buddha del Futuro raffigurato
in splendide vesti e seduto sul trono dei leoni.
Con le mani atteggiate nella dharmacakramudra (il gesto della messa in moto della Ruota della Legge), che rivela la sua futura missione di promulgatore della Dottrina, il Buddha regge gli steli di piante e fiori, simboli germinali di una futura liberazione.
In quanto oggetto religioso e rituale, la thangka, con le sue innumerevoli simbologie, è un mezzo che permette a chi la osserva di navigare attraverso le difficili acque della meditazione e di visualizzare i vari
attributi della divinità raffigurata (in questo caso Maitreya, il Buddha del futuro) e di entrare in uno stato meditativo profondo, nel quale le immagini, i colori, i gesti, i suoni raffigurati nel dipinto si rivelano in
una cosmogonia rituale sublime.
L’antica thangka tibetana si inserisce qui come prima immagine, densa e profonda, che si rivela allo spettatore dopo un percorso sonoro e spaziale importante. L’osservazione di questa immagine sacra dopo un viaggio che “ripulisce” lo sguardo e l’orecchio attraverso le sonorità di Montalti sarà un’esperienza trascendente: immagine sospesa, in un white noise sonoro, un fruscio cosmico vibrante, che apre a una moltitudine di forme e colori e gesti.
Questa prima immagine dipinta porta con sé la forza della tradizione tibetana di riprodurre divinità e santi Buddhisti su tela (le thangka) e che, in epoca moderna, sta all'origine del ritratto fotografico dei tulku, a cui è dedicata la parte finale della mostra.
Nelle ultime due sale trovano infatti spazio centinaia di fotografie di tulku, parte di una collezione di immagini realizzate dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri, che ritraggono i Buddha viventi appartenenti alle scuole buddhiste e bonpo in tutte le aree del mondo dove si pratica il buddhismo
tibetano; i tulku sono figure salvifiche la cui "mente di saggezza" rinasce in nuovi corpi per condurre l’umanità verso la salvezza e il Grande Vuoto… verso la buddhità.
In questo senso non si tratta di semplici ritratti fotografici, ma di autentici oggetti di venerazione, che contengono la sacralità della presenza: si ritiene infatti che l’immagine abbia lo stesso potere del tulku stesso, o più precisamente che l’immagine e il tulku siano inscindibili.
Questa raccolta, iniziata oltre una decina di anni fa dall’artista Paola Pivi, ha raggiunto migliaia di immagini e costituisce quello che è oggi il più grande archivio di immagini di tulku al mondo (http://tulkus1880to2018.net/).
L'esposizione, curata da Davide Quadrio, nasce da un’idea di Claudia Ramasso ed è completata da un ricco programma musicale curato da Davide Quadrio, Chiara Lee & Freddie Murphy.
Regione: Piemonte
Luogo: MAO Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11
Telefono: 011/4436932
Orari di apertura: 10-18. Lunedì chiuso
Costo: 7 euro; ridotto 6 euro
Dove acquistare: www.maotorino.it
Sito web: www.maotorino.it
Organizzatore: MAO Museo d’Arte Orientale