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Sono tantissime le erbe spontanee di uso alimentare più comune: il giallo tarassaco, la salvia campestre dai fiori violacei, il timo profumato, l’invadente e amara vitalba, la malva che fiorisce per mesi, la ruchetta dal sapore piccante, i papaveri, i capperi invitanti, la menta, il cumino, le ortiche e l’immancabile origano. Per gustarle in tutta sicurezza però occorre essere assolutamente certi del riconoscimento, oltre a effettuare la raccolta in luoghi appropriati. Meglio evitare quelle cresciute lungo gli argini delle strade asfaltate, dove la circolazione dei mezzi meccanici lascia sulle foglie una patina oleosa originata dai gas di scarico che un semplice lavaggio non può allontanare, oppure nei campi intorno a industrie che utilizzino sostanze chimiche come colorifici, ceramiche, produzioni di auto.
Come si raccolgono e si conservano
Quando trovate le erbe spontanee commestibili nei luoghi idonei, non strappatele ma usate un paio di forbici multiuso così da non danneggiare la pianta e favorire una possibile ricrescita.
Non ammassatele all’interno di sacchetti di plastica dove si forma condensa e i tessuti più teneri si deteriorano con facilità, ma in un cesto aerato, ricoperto con un canovaccio. Prima dell’utilizzo, che deve sempre essere rapidissimo, conservatele in un luogo fresco o in frigorifero nel reparto verdure.
Lavate sempre le erbe, così come fate con gli ortaggi acquistati, in acqua non fredda, ma mai troppo calda per evitarne lessatura. Ricorrete a un preventivo ammollo, con ripetuti cambi dell’acqua, e impiegate bicarbonato.
Tarassaco, foglie amare in insalata e non solo
In estate anche le foglie giovani assumono un sapore più deciso e allora possono essere consumate dopo una lessatura in poca acqua, per poi passarle in padella con olio extra vergine d’oliva, aglio e un formaggio come parmigiano reggiano o pecorino.
I boccioli possono essere raccolti quando sono ancora piccoli e verdi per essere conservati in acqua e sale come succedaneo dei capperi.
La radice, difficile da estirpare, può essere raccolta in autunno quando è al massimo dello sviluppo per essere tagliata in pezzi e torrefatta. Il caffè che se ne ricava è considerata una bevanda paragonabile nel sapore a quello della cicoria, ma dalle grandi virtù depurative.
Cappero, boccioli e frutti
In cucina sono perfetti per condire carne e pesce, come guarnizione, passati nel mixer divengono base per un’infinità di possibili salse, provateli con acciughe, porro, pepe nero e olio di oliva.
Le piantine si possono naturalizzare con facilità se disponete di un muro a secco purché esposto al sole. Basta inserire una piantina prelevata in natura nella crepa di un muro riempita di un mix di sabbia e terriccio in ragione di due a uno.
Salvia campestre, provatela fritta
I fusti a sezione quadrangolare, alti da 20 a 90 cm, si formano da una rosetta basale.
Le foglie della rosetta sono grandi (fino a 20 cm di lunghezza), quelle del fusto sono simili, ma più piccole, presenti a coppie.
La pianta si trova ovunque vi siano prati, pascoli e incolti soleggiati, dalla pianura alla montagna fin verso i 1.600 metri d’altitudine, in tutti gli incolti ben esposti al sole.
Prima della fioritura si raccolgono le foglie per insaporire insalate, condire frittate, oppure per friggerle come golosità in olio bollente, pastellate o meno secondo il gusto personale. I fiori, commestibili, si impiegano come nota di colore, aggiunti prima di servire, su insalate, coppe di frutta e gelato.
Malva, panacea dei poveri
Le malve si riconoscono facilmente per la forma del fiore a cinque petali, ognuno simile a un’ala di farfalla, rosa, violetti o lilla con un disegno di venature più scure, che si aprono in continuazione da aprile fino ad ottobre. Cresce un po’ ovunque vicino alle case. Negli orti, nei campi, lungo le strade dove è bene non raccoglierla perché le foglie catturano con facilità gli inquinanti rilasciati dalle auto in transito.
Della malva si utilizza tutto: le foglie e i fiori possono essere aggiunti alle insalate, ai minestroni, alle frittate e ai risotti oppure utilizzati come la radice in erboristeria. Per prepararle scottate le foglie, passatele in padelle con scalogno e utilizzatele come “base” per i piatti che preferite.
Cardo selvatico, spinosissima delizia
Il più conosciuto è il cardo o carciofo selvatico (Cynara cardunculus L.) noto anche come cardone. Questo che può essere considerato un ortaggio spontaneo, progenitore del carciofo e del cardo coltivato, cresce lungo i margini delle strade, negli incolti, nelle radure inerbite, dove ci sono macerie o accumulo di pietre, ghiaia, e sabbia.
La base della pianta è perenne e dopo la pausa estiva, che coincide con il grande caldo e la mancanza di precipitazioni, si forma una rosetta di lunghe foglie color grigio verde difese da spine gialle. I fusti, alti anche due metri, si originano in primavera e portano in posizione terminale capolini di colore violetto, in numero variabile, di 4-5 centimetri di diametro, protetti da un calice spinoso formato da squame dotate ognuno di una spina centrale inserita perpendicolarmente.
Di questa pianta non si usa solo il capolino come si fa per il carciofo coltivato, cucinandolo nello stesso modo, ma anche gli steli giovani dopo averli “sbucciati” dalla parte esterna fibrosa, crudi o cotti in padella, e le “coste” delle foglie più grandi, gratinate in forno.
L’insospettabile silene
La diffusione è ubiquitaria e nelle sue diverse varietà è diffusa dal piano al monte. Cresce nei prati incolti, al margine dei boschi, nei luoghi sabbiosi o sassosi.
Specie polimorfa è caratterizzata, nonostante l’aspetto gracile, da una base legnosa, da cui a primavera si elevano i getti erbacei commestibili. La raccolta può essere ripetuta laddove il clima è piovoso o dove dopo lo sfalcio le piante ricacciano. Si tratta della classica verdura da saltare in padella per condire la pasta ma anche come ripieno per piadine, per tortelli unita alla ricotta, o torte salate.
I fiori hanno petali, bianchi, più raramente rosa, il calice, di forma ovoidale, schiacciato crea un tipico rumore che ha meritato alla pianta il nome popolare di “schioppettina”.