Realizzare un filare di grandi alberi

Il filare di grandi alberi ha un fascino indiscutibile e può essere realizzato sia per fiancheggiare il viale d'ingresso, sia per delimitare i confini della proprietà. Deve essere creato a regola d'arte, senza fretta, valutando con attenzione tutti gli aspetti per poi procedere con i lavori in autunno.

Alessandro Mesini
A cura di Alessandro Mesini
Pubblicato il 08/09/2022 Aggiornato il 08/09/2022
filare di grandi alberi

I viali alberati lungo le strade cittadine e provinciali un tempo erano molto diffusi. Poi sono andati scomparendo, mentre nel verde privato è sempre possibile creare filari di alberi a fila unica, doppia o tripla. Un modo intelligente per approfittare dei tanti vantaggi che offrono le grandi piante: ombra e frescura prima di tutto, ma anche un impatto estetico che trasmette fascino e bellezza. Che cosa è necessario fare? Solo un impianto ben organizzato e poi, negli anni a venire, pochissimi interventi.

Alberi della stessa specie oppure diversi?

I filari alberati nelle proprietà private creano il viale di accesso, collegando in modo impattante l’ingresso all’abitazione. In alternativa vengono usati per delimitare i confini, costeggiando la recinzione metallica. Nel primo caso (filari sul viale d’accesso), si definisce un cono prospettico che pone al centro l’edificio e ai lati le masse di vegetazione. Dal punto di vista estetico è consigliato scegliere alberi della stessa specie. Nel secondo caso, i filari identificano un’area ben definita, all’interno della quale ci sono giardini o spazi con piante di taglia inferiore o, se lo spazio non manca, altri alberi formanti macchie e boschetti. In questo caso, lungo i confini sono adatti i filari policolturali, formati cioè da più specie sulla stessa fila, perché devono creare una demarcazione fisica dei confini, senza creare una struttura geometrica rigida e innaturale.
Anzi, in questo caso, è molto apprezzabile una disposizione delle piante non regolare, come per esempio un doppio filare sfalsato, una oculata selezione di specie diverse e una formazione di file sinuose. Queste tecniche nascondono il confine e, unendosi alla vegetazione circostante, danno l’illusione ottica di un’area più vasta. Inoltre, l’uso di diverse specie limita i danni da parassiti.

In genere in Italia si è poco abituati al filare con più specie, poiché nei viali pubblici è prescelta la monocoltura per semplificare le cure. Questo però va a scapito della biodiversità animale e vegetale e dei numerosi vantaggi che può apportare.

Le piante da scegliere

Se l’ambito di formazione del viale arboreo è urbano, la scelta delle specie è libera, fatta eccezione per quelle esplicitamente proibite dai Regolamenti del Verde Comunali. Si consiglia di valutare specie resistenti all’ambiente cittadino, non necessariamente autoctone e che necessitano di poco spazio, come per esempio Carpinus betulus fastigiata ‘Pyramidalis’, varietà di carpino a portamento colonnare con chioma compatta, facile da contenere con potature mirate e molto adattabile.
Se il sito di impianto è nella fascia di transizione urbano-agricola o agricola-naturalistica, è indispensabile impiegare specie autoctone che non possano determinare inquinamento floristico. Per un viale classico si suggeriscono tigli e platani o, in ambiente marittimo, il pino domestico; per una dimora storica i cipressi.
Chi vuole qualcosa di diverso può valutare un viale di Metasequoia, eleganti conifere spoglianti che in autunno diventano un mare dorato.
Se si opta per i filari con più specie, è bene considerare con attenzione le distanze in base allo sviluppo diverso delle piante, ricorrendo allo stratagemma di porle su due file, riservando quella più lontana all’osservatore per le piante più alte. Al confine della proprietà si possono inserire aceri e Liquidambar con il contrappunto di specie da fiore come Malus e Catalpa oppure la Parrotia persica a foglia colorata.

La distanza giusta tra gli alberi

In fase progettuale, oltre a scegliere le specie più adatte, è necessario definire come disporre le nuove piante nell’area prescelta e quante saranno. Prima dell’impianto è utile effettuare il tracciamento, ovvero marcare sul terreno i punti in cui ciascuna pianta sarà messa a dimora.
Nella scelta del sesto d’impianto è meglio privilegiare una disposizione che consenta di diminuire i costi di manutenzione, prevedendo uno spazio fra gli alberi tale da consentire l’utilizzo di mezzi meccanici. Per valutare la giusta distanza tra un albero e quello contiguo è necessario conoscere il diametro della chioma che gli esemplari raggiungeranno a maturità: se la chioma sarà di 6 metri, occorre lasciare almeno 6 metri tra una pianta e l’altra (anche se al momento dell’impianto sembrerà una distanza eccessiva, viste le dimensioni iniziali dell’albero). Se la chioma avrà un diametro maggiore, bisognerà aumentare la distanza per garantire alle piante uno sviluppo armonioso e sano. Infine, nel sesto d’impianto dovrà essere rispettato quanto riportato nel Regolamento del Verde comunale in relazione alle distanze dagli edifici, le strade e le servitù.

Operazioni preliminari all’impianto

La fase di realizzazione della piantagione è molto delicata e prevede il rispetto di una serie di operazioni che vanno effettuate prima di procedere all’impianto vero e proprio.

Pulizia del suolo
Lo spietramento è indispensabile nei siti degradati, mentre può essere inutile dove la pietrosità è di origine naturale. Vanno rimossi i rifiuti. L’eliminazione della vegetazione infestante prevede l’asportazione delle specie invasive (Ailanthus altissima e Robinia pseudoacacia). Se il sito è in pendenza, in un primo momento è opportuno non rimuovere tutta la vegetazione presente, per non creare situazioni d’instabilità del pendio. Occorre affiancare alle piante in loco, alberi con apparato radicale importante; solo quando si saranno ben sviluppati, si potranno eliminare gradualmente le specie spontanee.

Aerazione del terreno
I substrati migliori per gli alberi sono quelli caratterizzati da un’idonea presenza di nutrienti e ben aerati, oltre che “esplorabili” dalle radici. Per questo è necessario lavorare il terreno. L’operazione principale consiste nell’aratura o nella rippatura del terreno secondo la situazione: con l’aratura si ribalta il suolo, ma in ambiente urbano può non essere consigliabile poiché può portare in superficie strati sterili, scarti edili e rifiuti. In questi casi è opportuno scegliere la rippatura, che taglia il suolo in senso verticale consentendo di mantenere in superficie gli strati fertili.

Concimazione
Occorre creare un substrato favorevole alla crescita radicale, in particolare in aree in cui il suolo è di scarsa qualità. Può essere necessaria quindi una concimazione che migliori la fertilità e le caratteristiche strutturali. Gli interventi possibili sono vari: l’uso del topsoil, ovvero terreno prelevato altrove; l’ammendamento che consiste nell’aggiunta di materiali organici nelle buche d’impianto. Tra gli ammendanti principali ricordiamo il compost, gli inoculi micorrizici e biostimolanti e i mix artificiali. La quantità da aggiungere dipende dal substrato d’origine ma, comunque, non inferiore al 35% per volume di suolo.

Messa a dimora

L’apertura e la preparazione della buca precedono l’impianto vero e proprio e devono essere realizzate con alcuni accorgimenti. Le buche devono essere ampie, così da favorire la crescita radicale. Buche piccole causano un costipamento laterale, limitando lo sviluppo radicale e aumentando il rischio che si formino pericolose radici strozzanti. In ogni caso va evitato il compattamento del fondo e delle pareti della buca. Inoltre, è consigliabile che le buche siano di forma trapezoidale (piuttosto che rettangolare), con la base maggiore in alto, in quanto la crescita delle radici avviene soprattutto nei primi strati di suolo. Le buche di impianto dovrebbero quindi essere larghe due o tre volte la zolla e profonde tanto quanto questa. Per evitare situazioni di ristagno d’acqua, deve essere predisposto il drenaggio nella buca, ponendo sul fondo ghiaia, pietrisco o argilla espansa. 

Il periodo migliore per la messa a dimora delle nuove piante è quello autunnale-invernale, corrispondente al riposo vegetativo. Ha il vantaggio di essere piovoso, riducendo la necessità di innaffiare a intervalli ravvicinati e permettendo alle radici di acclimatarsi prima della ripresa primaverile. Tuttavia, la preparazione di un viale non si può improvvisare e già adesso dovremmo metterci all’opera.

Il tutore e le cure iniziali

È importante che gli individui da trapiantare abbiano una zolla compatta, che comprenda la maggior parte dell’apparato radicale e che questa non si danneggi durante il trasporto. Il tempo fra il prelievo dal vivaio e la messa a dimora deve essere il più breve possibile; in caso di attese prolungate bisogna mantenere la zolla umida con teli bagnati.
Insieme al trapianto si effettua il tutoraggio che protegge l’apparato radicale da eventuali rotture e che impedisce lo sradicamento delle piante da parte del vento o da urti. La migliore tipologia di tutoraggio è quella sotterranea, che prevede l’uso di tre pali piantati per tutta la profondità della buca, sui quali sono incollate delle tavole per formare un triangolo che blocchi la zolla. Dopo il trapianto, il primo intervento da eseguire è la pacciamatura, per evitare lo sviluppo di erbe infestanti, coprendo il terreno circostante il fusto con diversi materiali. Occorre una moderata potatura di trapianto, consistente nell’eliminare eventuali rami secchi o danneggiati e nel riequilibrare l’ampiezza della chioma rispetto alla dimensione dell’apparato radicale

Acqua, il segreto del successo

Una delle prime cause di insuccesso dei trapianti arborei è la disidratazione delle radici, con conseguente disseccamento della pianta. Nei primi anni successivi all’impianto, è fondamentale che le piante siano annaffiate. In assenza di piogge di una certa consistenza, si interviene ogni 10-15 giorni con almeno 80 litri per ogni pianta il primo anno e con 100 litri a pianta il secondo anno. Dal terzo al quinto anno si interviene solo con l’irrigazione di soccorso, se il periodo siccitoso inizia nel mese di aprile, apportando acqua ai primi segni di sofferenza da carenza idrica. Infine, nei primi anni di crescita, è necessario un attento controllo della futura stabilità, intervenendo con potature di allevamento, volte a tagliare quei rami che potranno minare l’equilibrio dell’esemplare; tali operazioni devono essere eseguiti da tecnici specializzati. Per talune specie potrebbero essere necessarie le spollonature, cioè l’asportazione dei polloni che si originano alla base del fusto o anche dalle radici, poiché questi germogli sono molto vigorosi, sottraggono linfa alla chioma sovrastante e potrebbero fare assumere alla pianta un portamento cespuglioso. L’ultima osservazione riguarda la brutta abitudine di eliminare i rami basali, utilissimi alle piante per rimanere “vestite” fino al piede: se il filare non accompagna una strada veicolare (nel qual caso occorrerà impalcare gli alberi all’altezza di 4,5 metri), meglio lasciare libera espressione al portamento naturale della vegetazione: ne gioverà la salute della pianta.

 

 

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