In caso di separazione, a chi sarà affidato il cane?

In caso di separazione di una coppia, in genere il problema riguarda i bambini. Tuttavia, anche i pet sono ormai entrati a far parte della famiglia a tutti gli effetti. Ecco perché, in caso di separazione, anche per loro si pone il dilemma dell'affidamento.

Roberta Marino
A cura di Roberta Marino
Pubblicato il 06/02/2020 Aggiornato il 06/02/2020
In caso di separazione, a chi sarà affidato il cane?

Cani, gatti e animali domestici in genere sono diventati componenti del nucleo famigliare: compagni di gioco per i bambini e una presenza amica per molti anni della vita delle persone, con cui si crea un forte legame affettivo. 

Quando, però, per una serie di ragioni, la famiglia si sfalda, anche loro, come i bambini, si trovano in balia di una situazione di conflitto. Non sono rari, purtroppo, i casi in cui cani e gatti contesi da entrambi, senza un accordo finiscono per essere lasciati in canile o gattile, in attesa di trovare una nuova famiglia che li adotti.

I proprietari che hanno a cuore davvero il destino del loro amico a quattro zampe, devono fare appello al buon senso ma, soprattutto, alla legge per capire come agire per il bene dell’animale, senza che diventi un “oggetto” di contesa.

Il suo benessere prima di tutto

In caso di separazione si deve (o almeno si dovrebbe) innanzitutto tutelare i bambini, che vanno protetti da un ulteriore trauma: l’allontanamento forzato dall’animale di famiglia. Quindi, l’ideale è che il cane o il gatto possano restare nello stesso luogo dove vive o dove si sposta il bambino.

Questa tutela, però, non dovrebbe dimenticare di garantire il benessere dell’animale.

A sottolinearlo è anche il “Titolo XIV-bis degli animali” del Codice Civile introdotto nel 2012, che all’art. 455-ter (Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi), in un linguaggio, un po’ ostico afferma il tribunale attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dall’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere.

La spiegazione va ricercata nel cambio di ruolo degli animali all’interno del nucleo famigliare. Fino a non molto tempo fa, infatti, cani e gatti (e non solo) erano considerati “proprietà” ossia oggetti di cui disporre esattamente come una casa o un’auto. Oggi, invece, a loro viene conferito un valore come veri e propri componenti della famiglia e il cui benessere viene prima degli interessi del proprietario. In poche parole, non è importante il fatto che i coniugi siano in separazione o comunione dei beni e nemmeno viene considerato prioritario “l’intestatario” del microchip del cane, questo è, infatti, un elemento puramente formale.

Non esiste una legge specifica

A parte l’articolo del 2012, non esiste allo stato attuale ancora una legge specifica che chiarisca in maniera definitiva a chi deve essere affidato l’animale in caso di separazione: sarà, quindi, il giudice di volta in volta a valutare le diverse situazioni delle coppie e della famiglia e a stabilire quale sia la soluzione migliore.

Per prima cosa verranno ascoltati i coniugi, per capire se è possibile trovare un accordo pacifico. Quindi, sarà la volta dei figli e di altri eventuali componenti della famiglia o di persone che hanno avuto un rapporto con l’animale e che potranno esprimere un parere. Infine, se necessario, sarà richiesto anche un consulto di un esperto di comportamento animale.

A seconda delle varie condizioni e della decisione del giudice potrà accadere quindi che:

l’affidamento dell’animale possa essere congiunto> in questo caso l’animale dopo la separazione resterà con entrambi i coniugi e saranno alternati i periodi di permanenza con uno o con l’altro. Le cure dell’animale saranno a carico di entrambi, sia a livello di spese che di prime necessità. Questa decisione viene presa valutando il benessere del cane o del gatto nel caso in cui i proprietari abbiano dimostrato di aver sviluppato entrambi una relazione affettiva con l’animale, nonostante quest’ultimo sia stato intestato solo a uno dei due. L’intestazione del microchip, quindi, non significa necessariamente la “proprietà esclusiva”.

l’affidamento del cane o del gatto possa essere esclusivo> quindi solo uno dei coniugi ne avrà la cura, la responsabilità ma anche la custodia. Tuttavia, anche l’altro avrà il “diritto di visita” per alcune ore nel corso della giornata.

La decisione del giudice quindi dovrà prendere in considerazione una serie di parametri: il legame affettivo che l’animale ha sviluppato con i due ex coniugi, dove sarà custodito, chi avrà la possibilità di prendersene cura. Questo non significa che si dovrà privilegiare un alloggio più grande o con il giardino, ma il luogo dove il cane o il gatto si sentono realmente a loro agio e che sentono come la loro vera casa in modo che siano garantiti, prima di ogni altra cosa, il suo benessere e la sua serenità.

Il consiglio, quindi, è di cercare sempre un accordo pacifico tra le parti su spese, vacanze, visite, detenzione ecc… senza dover far intervenire terzi ed eventualmente di stilarlo sempre per iscritto in via preventiva: in questo modo non si correrà il rischio di destinare l’animale a una situazione che non sia la migliore per lui.

Alcune sentenze: le decisioni del giudice

Mancando, quindi, una legge che definisca in maniera chiara come comportarsi per l’affido del proprio cane o gatto in caso di separazione, al momento non resta che affidarsi alle sentenze che i diversi giudici emettono a seconda dei casi.

Significativa, a tal proposito, la decisione del Secondo Collegio del Tribunale di Modena nel mese di dicembre del 2017: decidendo su una separazione consensuale è stato definito che l’ex marito avrebbe dovuto versare, oltre all’assegno per il mantenimento per i figli, anche quello per Alex, il pastore tedesco di famiglia con una quota pari a 50 euro al mese, ossia al 50% della spesa spettante a entrambi i coniugi anche se il cane sarebbe stato affidato solo alla ex moglie.

Altre sentenze, nel corso degli anni, hanno potuto evidenziare i differenti approcci dei Tribunali a seconda dei casi. Un precedente significativo è stato, sicuramente, quello attuato con il decreto del 2011 del Tribunale di Varese con il quale è stato sancito che “deve oggi ritenersi che il sentimento per gli animali costituisca un valore e un interesse a copertura costituzionale e per questo deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia”. Un provvedimento, quindi, che ha consentito di superare quella vecchia e concezione che considerava il cane o il gatto come un “bene di proprietà”, iniziando a utilizzare il legame affettivo tra lui e gli altri membri della famiglia come criterio per l’affidamento, esattamente come avviene per i bambini.

In questa direzione si inserisce anche un’ordinanza con la quale il Presidente del Tribunale di Foggia ha dichiarato che il giudice della separazione può predisporre l’affidamento dell’animale a uno dei due coniugi ma concedendo all’altro di tenerlo con sé e di prendersene cura per alcune ore della giornata al fine di non interrompere il legame che si era instaurato con entrambi.

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